Con la cultura si mangia. Ovunque tranne che in Italia.
Con la cultura si mangia. Non lo dico solo io ma, ormai, sono tantissimi gli studi che indicano con chiarezza che la cultura potrebbe diventare un asset fondamentale per l’Itala se solo il governo decidesse di stanziare degli investimenti e di lavorare alla progettazione di un piano industriale a lungo termine.
Per fare meglio comprendere lo scenario, riporto alcuni dati che trovo interessanti. Dopo la seconda guerra mondiale, in un momento storico in cui l’Italia aveva bisogno di rinascere e le persone avevano necessità di sperare nella costruzione di un futuro migliore la percentuale della spesa totale dello Stato destinata alla cultura risaliva allo 0,8%. Il quadruplo di quanto viene stanziato per la cultura oggi.
Infatti, sebbene il 2016 sia andato meglio degli anni precedenti (soprattutto grazie al l’Art Bonus) , un’analisi dei bilanci quadriennali del Mibact per il quinquennio 2013 – 2018 restituisce un quadro non esattamente confortante con riferimento alle dinamiche statali per le risorse destinate a Cultura e Spettacolo.
Nel 2013 il MIbact ha incorporato la Direzione Generale del Turismo e apparentemente i fondi sono aumentati. Ma osservando con un occhio più attento le singole categorie di spesa, emerge una allarmante diminuzione del 26,7% nel 2018.
Questo che cosa significa? Che se da un lato i dati forniti dal nuovo rapporto Symbola redatto da Federculture fanno comprendere che la cultura produce ricchezza e lavoro, da un’altra parte appare chiaro che, senza investimenti pubblici, la cultura italiana fa fatica a sopravvivere.
Un nodo che sembra essere piuttosto irrisolvibile. Sono passati ormai sei anni da quando avevo curato la comunicazione e i contenuti per il convegno “Cultura è Sviluppo” organizzato al Teatro Carignano di Torino. Già allora il tema centrale erano i tagli alla cultura. La situazione da allora ad oggi non è affatto migliorata. Anzi,
L’esperienza con il portale www.innamoratidellacultura.it farebbe presagire l’esistenza di un vasto mercato e , trattandosi di crowdfunding, dell’esistenza di uno strumento efficace per sopperire a ciò che il settore pubblico non riesce o non vuole fornire.
Purtroppo non è – ancora – così!
Rispetto al 2014 ,anno in cui il portale è andato online, moltissime cose sono cambiate. Le persone sono diventate più consapevoli. I pagamenti digitali fanno sempre più parte delle abitudini dei consumatori. I progetti abbondano. Ma i progettisti, prima di decidere se affidare la sorte delle loro produzioni a una campagna di raccolta fondi dal basso , preferiscono aspettare. Che cosa? Erogazioni che, sempre più spesso, non ci sono più.
Quindi cosa impedisce agli italiani di utilizzare il crowdfunding culturale per realizzare le proprie idee e progetti? Da un lato penso ci sia ancora una scarsa conoscenza delle reali potenzialità di questo strumento. Da un altro punto di vista, gli importi necessari per realizzare o sostenere progetti in ambito culturale, sono spesso elevati. Il crowdfunding non è per tutti e non tutti sanno farlo. Realizzare una campagna è sempre un rischio imprenditoriale ed è un fatto che chi fa cultura sovente non è un imprenditore.
Se il progetto è importante va costruito con attenzione e perizia. Ci va tempo, una campagna di crowdfunding culturale non nasce in un giorno. Dal suo iniziale concepimento alla realizzazione, spesso, passano mesi.
MI sono fatta un’idea che, se l’obiettivo di raccolta non supera i 5.000 euro, il creatore del progetto ce la può fare anche da solo. Sopra quella cifra rtengoche sia difficile. Ma l’aspetto più ostico per me rimane quello di far comprendere alle persone che per ottenere un risultato è necessario investire.
In che cosa? Consulenza e comunicazione. Persone che aiutano.
La risposta che registro maggiormente, quando spiego che una campagna di crowdfunding prevede un investimento che raggiunge circa il 20% dell’obiettivo di raccolta, è sconfortante: “se devo fare un crowdfunding non ho certo i soldi per pagare un consulente”.
Giusto.? Sbagliato. Dipende tutto da quanto vuoi raccogliere. Dal numero di persone che ti aiutano. Da quanti amici hai nel tuo network. E da quanto hai voglia di metterti in gioco e rischiare.
Emanuela Negro-Ferrero www.innamoratidellacultura.it