Lo spettacolo “Il Viaggio” è la seconda tappa del più ampio progetto “POLVERE” condotto da Barbara Altissimo e dall’Ass. LiberamenteUnico con gli ospiti della Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo di Torino.
La prima tappa, che ha richiesto circa due anni di lavoro, ha avuto compimento con la presentazione a Torino nel novembre 2012 dello spettacolo “Polvere, la vita che vorrei” con conseguenti repliche ad Aosta ed in varie località del Piemonte. Il progetto parte nell’aprile 2011 grazie alla collaborazione con l’Ass. Outsider Onlus (che opera all’interno del Cottolengo) e coinvolge un gruppo di dieci partecipanti con handicap fisici e mentali di diversa entità.
L'esperienza formativa nel percorso di creazione artistica, viene arricchita grazie al contributo di professionisti di diverse discipline e porterà alla presentazione del nuovo spettacolo “Il Viaggio” nella stagione 2014/2015. Il progetto è stato impostato secondo i principi fondamentali dell'Ass. LiberamenteUnico, che da sempre concentra il proprio lavoro sul rispetto dell'individuo, della sua unicità ed autenticità.
Lo scopo del progetto è quello di condurre gli utenti del Cottolengo ad un'espressione artistica del tutto nuova ed originale, rivelando le potenzialità insite in ogni individuo anche (e sopratutto) nel caso di handicap mentali o fisici. L'obiettivo è quello della creazione di un evento che possa essere fruito dal pubblico, dagli operatori e dagli utenti come una creazione artistica con alti parametri qualitativi.
Racconta Barbara Altissimo:
La molla che è scattata in me per farmi scegliere di accettare questa intera sfida è stata l'incontro con un’ “atroce normalità" più che l'incontro con la disabilità . Alcune delle creature che ho seguito in questi due anni sono infatti persone che, se non fossero nate in altri tempi e con situazioni famigliari difficili, avrebbero potuto condurre una vita "libera" e socialmente normale: Paolo era solo epilettico, Antonio e Virginio erano semplicemente sordi e Vito solo in carrozzella... Eppure sono persone che vivono al Cottolengo da tutta la vita. L'intero progetto ruota intorno al concetto di offrire dignità a questa "materia umana" straordinaria e lo strumento che io avevo a disposizione era il teatro.
Il Cottolengo si presenta come una città dentro un'altra città; un microcosmo dentro al macrocosmo.
È il luogo per eccellenza della diversità, e la diversità spesso fa paura. Fa paura perchè non la si riconosce, perchè è fuori dall'ordinario, dal conosciuto e dai parametri abituali. Eppure la diversità è la strada verso l'essenza e la bellezza.
E il Cottolengo è il luogo ideale per esercitare la capacità di vedere la bellezza anche là dove sembra non esserci. E di bellezza lì ce n'è tanta. I nostri attori hanno un agire che crea una magia straordinaria e sprigiona poesia alta.
Non è la tecnica o ciò che sanno fare, ma la loro semplicità e disponibilità a raccontarsi e a lasciarsi guardare. È un “materiale umano” di alto livello artistico che ha solo bisogno di essere ben incorniciato. Il tentativo di tutta questa esperienza è quello di dare loro una “possibilità”, un riconoscimento, una dignità che meritano pienamente.Perchè l’umanità e l’arte, qui si fondono e si respirano davvero.
Alcune recensioni del precedente spettacolo "POLVERE":
Recensione di Maria Teresa Martinengo per la Stampa di Torino, 23 novembre 2012.
“Polvere la vita che vorrei” è uno spettacolo “scritto” e interpretato da un gruppo di persone con vicende personali e condizioni diverse, accomunate dal vivere alla Piccola Casa della Divina Provvidenza. Tutti attori nati, interpreti di se stessi e dei propri sogni con una professionalità che Barbara Altissimo ha coltivato con dedizione. Sono poesia vivente.
Recensione di Rosa Revellino per IlGiornale.it, 25 novembre 2012
Quando la "diversità" si riappropria della natura
Colpisce lo spettacolo Polvere. La vita che vorrei di Barbara Altissimo Spettacolo che raschia l'umano fino in fondo quello che Barbara Altissimo ha messo in scena a Torino al Teatro Astra: Polvere. La vita che vorrei.
Una scena tridimensionale in cui si confrontano tre mondi, quello della tecnica, quello della parola proverbiale, e quello dell'umano corporeo. Sulla destra della scena una postazione di lampade, monitor e specchi è simmetrica ad una figura di saggio di sapienza orientale che attende in silenzio, l'inizio della performance. Un tappeto di foglie ingiallite che ricopre il centro della scena allude ad una stagione di memorie da raccontare.
Si inizia subito con un corpo a corpo armato e vociante degli speciali protagonisti, che entrano in luce piena da un fuori scena: sono gli «ospiti» del Cottolengo di Torino, uomini e donne con malattie psichiche e fisiche. Entrano armati di pistole e scortati da un ambiguo aguzzino mentre una giovane redentrice raccoglie le armi e le ripone in un cestino. E loro sono sordomuti, invalidi, malati di epilessia... che assumono però nello spettacolo lo status di narratori di verità. Perlomeno di quelle più intime che si raccontano con la voce, ma soprattutto con il corpo. È forse è proprio il corpo ad essere il medium ideale per far risuonare vite in scacco, interrotte e svuotate di desiderio e speranza.
Così in un groviglio fatto di radio gracchianti, canzonette orecchiabili, urla disperate, questi corpi, seppur imperfetti, ma di straordinaria grazia umana, fanno uscire le loro voci, raccontando, cantando o chiedendo aiuto. Soprattutto dicendo i loro affetti. In fondo è questo il punto di arrivo di una sperimentazione corporea e fonica che insegna a dire l'amore, o forse solo ad immaginarlo possibile.
Che vuole fotografare un'illusione di normalità e di semplicità che può esistere solo nel desiderio: «la vita che vorrei». E si assiste alla fine ad un ribaltamento dei piani scenici e di realtà quando «l'umano diverso» si riappropria della natura: questi uomini e donne, indossando grandi teste di animali,
escono di scena mentre la cultura tecnica, l'uomo aguzzino, si sveste dei suoi abiti per rannicchiarsi inerme al centro della scena; mentre il saggio, da una carrozzina, ne commisera la fragilità. Una produzione di Liberamente Unico in collaborazione con l'associazione Oustsider Onlus.
Recensione di Maura Sesia per Sistemateatrotorino.it, 26 novembre 2012
Una... Polvere delicata
È di una delicatezza che incanta Polvere, la vita che vorrei realizzato da Associazione Outsider e Liberamenteunico e creato da Barbara Altissimo, che ha fruito della collaborazione artistica di Ivana Messina, per il debutto a novembre 2012 al Teatro Astra, nella stagione a cura della Fondazione Teatro Piemonte Europa. La maggior parte dei protagonisti, pur non essendo professionisti, ha un garbo ed un’intensità espressiva rari, non lasciando trapelare alcuna forzatura, nessuna imposizione registica, nessuna azione, gesto, parola che non sia stata introiettata, assimilata, condivisa. Niente viene dall’esterno, tutto è interpretazione, talvolta immedesimazione. Dieci attori, ospiti del Cottolengo, hanno partecipato ad un percorso formativo durato più di un anno ed hanno acquisito specifiche tecniche; non sono spontanei, ma precisi, Barbara Altissimo ha trasmesso loro la coscienza dello spazio teatrale, le regole dell’emissione verbale e del movimento, nulla è lasciata al caso, non c’è improvvisazione, che pur sarebbe scusata da un pubblico, in questi casi, troppo complice, che erroneamente scorda il senso critico per applaudire a prescindere. No, questa è un’occasione poetica in cui si tributa giusto merito ad una congrega di individui con dignità di palcoscenico. La storia è una non storia di tanti brevi frammenti, quadri che riecheggiano un po’, forse, le loro vite, un po’ quelle di altri personaggi fantastici, dai film di Federico Fellini, un po’ le balere, le campagne, gli amori persi e ritrovati, le elezioni di Totò, la filosofia e le opere di Shakespeare, la diversità ridente, che mette alla berlina chi non la stima. Un’avventura sensoriale ed emotiva di alto livello. Imprescindibili al risultato i due performer professionisti in scena, Ivana Messina, la fanciulla sola che canta e danza, pronta sempre a regalare sorrisi e Gian Luca Colombelli, una sorta di metteur en scène, en travesti, austero e autoritario, impelagato dietro ad una scrivania incredibile di lampade e fili e bizzarrie meccaniche; bello e funzionale il parterre, cosparso di rugginose foglie, con alcune sedie ed un armadio al fondo, pensato e a d’uopo illuminato da Massimo Vesco; delle musiche si è occupata Monica Olivieri, dei costumi Alessia Panfili. L’unico rimpianto è che non sarà un lavoro facilmente trasportabile, ma si confida in una soluzione perché queste energie non vadano disperse, ad esempio esistono i teatri a tenuta e all’estero gli stabili
stanziali e potrebbero essere gli spettatori a spostarsi.
Recensione di Laura Bevione (giornalista Hystrio) per Amandaviewontheatre.wordpress.com,
dicembre 2012
[...] “Non sembra correre questo rischio, invece, il lavoro svolto dalla regista torinese Barbara Altissimo con alcuni ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza – per tutti il Cottolengo. Il progetto e lo spettacolo che ne è stato l’esito s’intitolano Polvere – la vita che vorrei, a sottolineare da una parte la leggerezza e la lievità dell’approccio scelto e, dall’altra, quel senso di nullità che spesso si attribuisce a esistenze meno fortunate delle nostre. La regista guida con mano accorta e affettuosa i suoi attori – accompagnati sul palcoscenico dall’attrice e danzatrice Ivana Messina – assecondandone creativamente talenti e umori, così da intessere un articolato racconto di vite e di speranze, di sogni che non si sono spenti e di consapevolezze che bruciano ma non inceneriscono.”
Recensione di Chiara Castellazzi per Tuttodanza, febbrao 2013
Polvere di sogni.
Ha avuto un esito di fronte a un folto pubblico, nel cartellone del TPE, Teatro Piemonte Europa (diretto da Beppe Navello) il progetto di lungo corso “Polvere – La vita che vorrei” condotto da Barbara Altissimo insieme con l’Associazione Outsider Onlus che opera con ospiti dell’Istituto Cottolengo (la Piccola Casa della Divina Provvidenza) di Torino. Un’umanità eterogenea, generosa, difficile perché fuori dagli schemi è stata guidata dalla regista coreografa torinese e dai suoi assistenti attraverso uno sfaccettato percorso di formazione (stages di musica e canto, yoga e respiro, scrittura creativa, danza contemporanea e teatro danza) e infine di creazione, dove il valore di ciascuno non è stato mai dimenticato o banalizzato e neppure forzato da impostazioni “buoniste” o “cattiviste” e provocatorie. Così dieci specialissimi ospiti del Cottolengo (in scena con due performer della Compagnia LiberamenteUnico, diretta dalla Altissimo) hanno dato vita a una pièce strutturata, toccante e piena di significato, dove è sempre visibile in filigrana l’attento lavoro di ascolto e rielaborazione delle storie personali da parte della regista. Questi fragili e intensi personaggi, nella sensibile conduzione della Altissimo, possono raccontare barzellette strampalate, dettare ricette della loro infanzia, confidare sogni irrealizzati, ballare su canzoni struggenti che alcuni di loro (sordomuti) non possono udire, scandire slogan elettorali di fantapolitica, essere irreggimentati e comandati da un uomo col fischietto, uscire dal proscenio vestendo maschere di animali, o soltanto accennare un’andatura alla Charlot, ma sempre ci portano ad anni luce di distanza da un teatro artificioso e inutile cui spesso ci tocca di assistere.