La settimana scorsa ho visitato il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” in compagnia del Presidente dell’Associazioni Amici del Centro e di una esperta professionista in archivi. Sebbene il centro sia stato aperto nel 2005 e le mie visite alla Reggia di Venaria siano molto frequenti, non avevo mai avuto occasione di vederlo.
La sede è ospitata in un’ala laterale della Reggia e, leggo dal sito centro di conservazione e restauro della Venaria Reale che si tratta , di una scuola di alta formazione dedicata alla costruzione di professionalità nei diversi ambiti del restauro.
Mi aspettavo di vedere una sorta di bottega d’artista con opere meravigliose sparse qua e là. Le opere ci sono ma, confesso che non me lo aspettavo, gli ampi laboratori sono occupati per lo più da macchinari. Ce ne sono diversi, alcuni di dimensioni molto grandi.Le persone lavorano indossando camici bianchi e scarpe antinfortunistica. Ho notato, mentre giravo scattando foto e osservando le opere, che si tratta per lo più di donne.
Il restauro quindi è un mestiere femminile? Sembrerebbe di sì. Da un articolo del 2015 pubblicato sull’inserto IoDonna http://www.iodonna.it/attualita/in-primo-piano/2015/10/06/ risulta che in Italia il restauro sia una professione per donne con dati che riportano una presenza di 9 a 1.
Le donne negli anni risultano essere vincitrici dei bandi di accesso all’ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma), alla scuola dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze e al la Fondazione Centro Conservazione e Restauro ‘La Venaria Reale’. Queste persone, una volta terminato l’iter formativo possono esercitare con il riconoscimento del Mibact e del Ministero del Turismo. Si tratta di pochi diplomati ogni anno perché le scuole che offrono un diploma riconosciuto sono di numero limitato, costose e offrono pochissimi posti. In Italia, esiste una costellazione di persone che arrivano ad esercitare la professione passando da iter formativi diversi: per esempio, c’è chi lavora a bottega , chi frequenta scuole dedicate al restauro che però non rilasciano la qualifica di ‘restauratore’ richiesta dal Ministero e che è necessaria se si vuole lavorare con la Sovrintendenza» o chi si mette in proprio dopo il diploma dell’Accademia di Belle Arti.
La questione è oggetto di accesa discussione con il Ministero ed è ancora aperta. Un vero peccato se si pensa alla mole di opere, manufatti ed edifici che potrebbero dare lavoro e occupazione.
Mentre osservavo una delle due restauratrici del Centro del Restauro intenta a tagliare con attenzione e precisione chirurgica una pezzo di stoffa e poi appoggiarlo con delicatezza sul retro di un dipinti tardo secentesco, mi sono resa conto che si tratta di un mestiere di grandissima responsabilità. Mettere le mani su un’opera o su di un manufatto, richiede grande perizia e attenzione oltre che, immagino, la capacità di rimanere neutri rispettando l’originalità conferita dall’autore.
Il tempo che avevo a disposizione purtroppo era poco e non ho potuto approfondire più di tanto. Certamente abbiamo approfondito l’aspetto cruciale che poi, in sintesi, è la solita mancanza di fondi. Il restauro, di qualsiasi genere si tratti, implica che ci sia un committente. Alcuni interventi sono estremamente costosi e richiedono non solo l’intervento del professionista ma l’utilizzo di materiali particolari.
Ritengo che il crowdfunding sia una buona soluzione a patto però che chi possiede il bene sia in grado di condurre la campagna di comunicazione necessaria a promuovere la raccolta fondi e intercettare sponsor e mecenati. Questo è un punto che in Italia non è ancora compreso. L’affermazione “tanto il crowdfunding non funziona” andrebbe corretta in “il progettista non è in grado di affrontare una campagna di crowdfunding”. Non è vero. Come per tutte le attività, il crowdfunding ha delle regole. Chi non le conosce o non le rispetta è destinato a fallire.
Emanuela Negro-Ferrero – Ceo www.innamoratidellacultura.it