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Le email vengono bollate dalla maggior  parte dei Responsabili Comunicazione come strumenti vecchi, noiosi e un po’ sfigati. Niente di più sbagliato. Sarà che per anni ho scritto montagne di lettere destinate al direct, sarà che mi piace proprio scriverle, ma io nelle email ci credo fortemente.

Quando Obama ha iniziato la sua campagna elettorale, mi sono iscritta al sito presidenziale e, una volta diventata supporter, con grande curiosità e pazienza ho letto e schedato le centinaia di email che ogni giorno mi venivano inviate. Tutte regolarmente orientate alla raccolta di fondi. Una vera noia, penserà il profano. Una grande lezione di comunicazione, ho pensato io.

Che cosa c’è dietro a tutto questo? Perché è stato scelto un mezzo di comunicazione così obsoleto e, soprattutto, perché con questa scarsissima creatività dei testi? Conoscendo le tecniche utilizzate per il fundraising tradizionale, immagino che dietro questa scelta siano stati effettuati dei test. Alcuni test, come quello definito A/B, prova diverse versioni dello stesso messaggio per verificare sul pubblico qual è la risposta migliore.

In rete ho trovato risposta ad alcune mie domande. A quanto pare, lo staff di comunicazione ha inviato ogni messaggio almeno diciotto volte, testandone l’efficacia. Un esempio? Il saluto “Friend” è risultato il più gradito in assoluto accoppiato alla richiesta di denaro rispetto a “Hey”:

Friend —

My favorite campaign tradition started five years ago — check out the email below.

It’s just incredible how much we’ve grown — from 100,000 individual donors at that time to more than 3 million in this campaign alone — and how much we’ve accomplished together.

Tomorrow night, we’re selecting the guests for the last dinner of my last campaign. I’m looking forward to closing out this tradition the way it started: with supporters like you.

Trovo sottile che anche lo sfondo della mail abbia avuto la sua parte. Bianco andava bene, ma lo sfondo giallo ha generato sino al 20% in più di risposte positive, cioè aperture della email.

Il colpo di genio della campagna è stata senza dubbio la ripetitività del messaggio, contrariamente a quanto viene fatto per una campagna di raccolta fondi tradizionale. I testi approvati erano all’incirca quattrocento e, visto che il test dava come positivo l’invio massiccio delle email, la campagna di Obama si è basata su una regola semplice e banale: “più mail mandiamo, più fondi raccogliamo”. E così è stato.

La cifra richiesta, 3$, è stata pensata perché copre giusto i costi della transazione con la carta di credito. Questa semplice richiesta ha permesso di costruire enormi liste di nominativi e di far crescere nei supporter un forte senso di appartenenza: “Make a donation of $3 or whatever you can, and you’ll be automatically entered.”

I dati alla fine parlano chiaro. La campagna elettorale di Obama ha raccolto 15 milioni di dollari al mese online in primavera e più di 150 milioni di dollari in autunno. Il capo della comunicazione, Jim Messina, ha detto che il grafico del fundraising online somigliava ad un bastone da hockey.*

Personalmente, ho verificato l’utilizzo di diverse frasi: “Thankful every day”, “Do this for Michelle”, “Would love to meet you” e “Some scary numbers” a cui, nella fase più dura della campagna, è stato aggiunto “I will be outspent”, frase che ha raccolto da sola 2.6 milioni di $. In Italia sarebbe impensabile.

Siamo tutti Supporter.

Le email che ho ricevuto, a mano a mano che si entrava nel vivo della campagna, avevano un tono sempre più coinvolgente ed entusiasta. Come supporter sono stata invitata e sollecitata non solo a donare, ma anche a coinvolgere il più alto numero di persone di mia conoscenza affinché donassero e partecipassero. Ad un certo punto ho persino iniziato a ricevere mail personalizzate. Questo particolare punto della campagna elettorale è stato battezzato da Messina “Airwolf”, in onore di una nota serie televisiva degli anni ’80.

In pratica, i dati forniti dai supporter sono stati elaborati e le mail inviate avevano un elevatissimo grado di personalizzazione. L’effetto “grande famiglia” è stato grandioso, permettendo così di gestire centinaia di migliaia di nominativi come se le comunicazioni fossero inviate dal vicino di casa.

Adesso toccherebbe a noi italiani. L’assenza di finanziamenti pubblici ai partiti rende questa tecnicità estremamente interessante.

*Jonathan Alter.